PROLOGO: Isola di Failaka, Kuwait, Golfo Persico

 

Il vento giunse di soppiatto. Una fresca brezza dal mare, per lambire e raffreddare un po’ il rovente deserto che copriva l’isola brulla e deserta.

Poi il vento si fece più forte. E ad esso si unì una nuova corrente, questa volta proveniente dalla direzione opposta.

Poi le prime nuvole iniziarono a radunarsi nel cielo. Nuvole pesanti e grigie, plumbee.

Il vento, anzi i venti, crebbero ancora di intensità. Le nuvole si ammassarono sempre più in fretta, sempre più fitte.

Il cielo ne fu coperto. Non un raggio di Sole riusciva a trapassare quel velo. A mezzogiorno, sull’isola era scesa la notte.

Vortici di sabbia si levarono dalla superficie. Vortici che divennero titaniche colonne, che sembrarono volere unire terra e cielo in un parossismo elementale contornato da sciami di fulmini.

Finalmente, la terra rispose. La sabbia si sollevò sotto la spinta di un corpo colossale. La superficie piatta divenne una collina.

La sabbia scese, rivelando colonne finemente decorate,

massicce mura di granito,

statue di lancieri dalla solenne testa di sciacallo

edifici dai tetti d’oro e scalinate dalla superficie d’oro…

 

“Sorgi dal tuo lungo sonno, Grande Tempio di Anubi.” La voce parlava con un tono adorante, ma allo stesso tempo freddo, a malapena udibile nella furia della tempesta.

L’unico spettatore di quel prodigio era un uomo: carnagione olivastra, atletica, vestiva per quello che era, un Sacerdote del Dio-Sciacallo egizio, con un gonnellino, calzari e bracciali d’oro, bastoni rituali tenuti incrociati al petto, e una splendida maschera d’oro che riproduceva le fattezze di Anubi.

“Sorgi, tempio divino, per testimoniare il ritorno alla gloria del giudice dei morti.”

Un fulmine illuminò l’oscurità. Per un istante, la durata di un lampo, ci fu un’altra figura al posto del sacerdote. Ci fu una creatura muscolosa, coperta di una pelliccia nerissima, dall’affilato muso animale e gli occhi, delicatamente contornati, neri e dalle pupille rosse.

“Sorgi per testimoniare che i miei nemici da ora in poi sappiano che Anubi è pronto a deporre il loro cuore sulla sua bilancia!” La creatura ululò ed il suo verso si confuse con la tempesta.

I fulmini illuminarono la cittadella risorta.

 

 

MARVELIT presenta

Episodio 18 - Congiuntura Diabolica (III Parte)

 

 

Nei pressi del Salisgraveshire, Scozia. Il Darkmere

 

Il corpo era ormai decomposto quasi completamente, ridotto a un velo di pelle dorata tesa sulle ossa. I folti capelli argentati erano sì e no qualche ciuffo sul cranio. Il costume era uno straccio lacero.

Nebulon, l’Uomo Celestiale, era morto…di nuovo.

Accanto a lui, sulla spiaggia, giaceva un altro eroe: Tagak, il Principe Leopardo. Giaceva in uno stato comatoso, immobile come morto, completamente vulnerabile.

Quanto a coloro che erano costretti a testimoniare il definitivo sputtanamento della loro missione,

Ø      Moonhunter, l’ex cacciatore di licantropi, era il solo che si potesse definire ‘eroe’.

Ø      Nightshade, la nera licantropa, non sapeva esattamente come definirsi. Sapeva solo che da quando l’eroe licantropo Pintea l’aveva scelta per portare la sua armatura, la sua visione del mondo era cambiata.

Ø      Carrion, portatore dell’omonimo virus, osservava i corpi senza battere ciglio.

Ø      Hobgoblin, l’ex mercenario, ora un mezzo demone, era impegnato ad ‘interrogare’ uno dei responsabili di quella crisi, un soldato del Corpo dei Grifoni.

Ø      Lilith, la figlia di Dracula, aspettava in disparte, pronta a fare la sua parte.

Ø      Dreadknight, il sinistro cavaliere latveriano, era di pattuglia.

 

“Vediamo di capirci, bello,” stava dicendo Hobgoblin con una voce che aveva perso ogni intonazione umana. “Tu continua pure a tacere. Non spero di meglio.” Appoggiò la sua mano al torace del Grifone. L’uomo urlò orribilmente, mentre il metallo della sua armatura si liquefaceva come burro…per diventare una mostruosa bocca ghignante.

“Che idiozia!” Lilith scosse la testa. “Se lo lasciavi a me, avrei potuto farne uno schiavo obbediente, disposto a parlare senza colpo ferire. Così, invece, non posso neppure morderlo senza beccarmi le infezioni che trasmetti. Idiota!”

“Ti consiglio di non ripeterti, strega!” sibilò la creatura, le mani già accese di fuoco infernale. “O vuoi perdere il tuo bel faccino per sempre?”

Una lama di luce si frappose fra di loro, tagliando nel suolo come nella creta!

“Abbiamo anche una missione da compiere, se ve ne foste dimenticati!” ringhiò Nightshade. “Quando sarà finita, potrete uccidervi a piacimento. Dac?”

“Non che portarla a termine ci possa servire,” disse Carrion, guardando verso Tagak. “Senza di lui, siamo intrappolati in questo Darkmere.”

La lupa gli appoggiò la punta della sua alabarda alla gola. “Magari restare qui non sarà così male, a conti fatti. Prima, però, vorrei salvarmi la pelliccia, zombie. Chiaro? Là fuori c’è un figlio di serpe che mi vuole morta[i], e se ci riuscisse, prima tu mi indicherai la strada per l’Inferno!”

Carrion non batté ciglio. “E allora cosa suggerisci di fare?”

Lei digrignò i denti, mentre abbassava l’arma. La verità era che non lo sapeva. Era quel boy-scout cosmico di Nebulon a sapere come comportarsi, e Tagak era il suo degno vice. Loro altri, senza una guida decente, erano degli sbandati all’anarchia...

Poi le venne in mente! “Idiota che sono,” mormorò.

“Concordo in pieno,” disse Hobgoblin.

La licantropa chiuse gli occhi. Non sapeva esattamente come fare, doveva mettersi a pregare?

Si concentrò. Provò a focalizzare nella sua mente l’immagine che aveva visto poche ore prima. “Pintea, accidenti a te, fatti vedere. Dimmi dov’è quel figlio di puttana di Thulsa Doom.”

Niente. Scosse la testa -che cosa si aspettava, del resto, di trovarsi di fronte uno spettro luminescente in saio..? “Ki-yy!” Aveva aperto gli occhi, ed eccolo lì, Pintea dalla pelliccia grigia e nera, che indossava la versione eterea dell’armatura di lei.

E che puntava verso est con la sua alabarda, da cui partiva un raggio di luce.

“Bella idea, baby,” disse Moonhunter.

“Lo vedi?”

“Sì. In fondo, è solo lo spettro di un luppolo, niente che non abbia già visto.” Zachary Moonhunter attivò il microfono all’interno della maschera. “’Knight, siamo pronti a muoverci.”

Il cavaliere, seduto sul suo fedele Hellhorse, rispose dal microfono nel suo elmo a forma di teschio. “D’accordo. Fate strada. Qui intorno non sembrano esserci altri ‘comitati di benvenuto’ in agguato.”

Hobgoblin guardò verso il ‘suo’ prigioniero. “Allora questo fesso non ci serve più, giusto?” Non attese risposta. Puntò la mano e lo avvolse in una vampata di fuoco infernale. In pochi secondi, dell’uomo non restarono che poche ossa annerite avvolte da un guscio metallico semifuso.

Carrion, come al solito, non disse nulla. Si limitò a sparire in una nauseabonda vampata luminosa allo zolfo.

 

Apparve un istante dopo dietro ad una roccia. Una scelta singolare, visto che non c’era niente o nessuno, lì.

Si chinò come a volere afferrare qualcosa…e, effettivamente, la sua mano afferrò qualcosa. Qualcosa che apparve un attimo dopo: per la precisione, una snella figura umana in costume, avvolta da un enorme mantello e cappuccio scarlatto. Ai piedi portava un paio di stivaloni. “Oddio non mi uccidete, per favore! Non volevo spiarvi, lo giuro!”

Carrion, tenendolo per il collo, lo sollevò senza sforzo. Lo fissò con i suoi occhi bianchi. “Considerando che è quello che hai fatto da quando siamo arrivati in questo piano dimensionale, perché dovrei crederti?”

Il giovane, se la voce che veniva dalla maschera incappucciata poteva essere presa come indicatore, disse, “Perché non stavo spiandovi per conto del Triumvirato, ma per conto mio. Voglio fuggire da qui!”

 

Da qualche parte nelle foreste Bavaresi, si trovava una chiesa sconsacrata, o meglio la controparte nel Darkmere di quello che fu un luogo di culto del Dio-Serpente Set.

 

All’interno della Chiesa, sospeso ad un metro di altezza dal pulpito, seduto a gambe incrociate, stava l’antica nemesi del Popolo, il malvagio Thulsa Doom.

L’uomo, la cui testa era un nudo teschio dalle orbite fiammeggianti, era finalmente prossimo a realizzare il suo proposito! Il libro che si stava sfogliando da solo davanti a lui, il Tomo di Galadeno, stava per aprire i suoi occhi all’Oculum Infernalis, il Cuore del Tempo.

La conoscenza del rito, unita alla rara congiunzione dei corpi che formavano lo Zodiaco Nero, gli avrebbe dato la chiave per sconfiggere il Popolo una volta per tutte! A quel punto, il dominio di Set sul mondo prima e sul Multiverso poi sarebbe diventato inarrestabile!

 

A distanza di sicurezza dal suo padrone, stava una donna. La sua delicata figura era inguainata da una splendida armatura bianca come la porcellana. L’elmo era ridotto al copricapo. Il volto scoperto era una solida ombra.

Il Generale Evilar, circondata da una schiera dei suoi guerrieri-ombra, aspettava lì, nel caso si fosse reso necessario combattere nella chiesa…

Ma era improbabile che si giungesse a tanto: con il Triumvirato, la massima autorità del Darkmere, sotto l’influenza delle sue ombre, questi ‘Supernaturals’ non avrebbero posto problemi!

 

“E noi dovremmo fare dei favori ad un moccioso come te?” Bram Velsing, Dreadknight, aveva un briciolo di senso dell’umorismo. Aveva deciso che avrebbe ascoltato questo ragazzino, quindi si farebbe fatto una bella risata, e poi lo avrebbe ucciso.

Il ragazzo si era rivelato appena un ventenne, una volta che maschera e cappuccio erano stati sollevati. Cranio perfettamente rasato, e coperto da un elaborato tatuaggio oro e blu che andava dal collo alla fronte come un elmo dipinto. “Tanto per cominciare, faccia di teschio, ho un nome, ed è Trevor Corson.

“In secondo luogo, io sono il solo a conoscere una via d’uscita dal Darkmere.” Questo attirò la loro attenzione. Trevor incrociò le braccia al petto, ringalluzzito.

Fu a quel punto, che Lilith lo fisso intensamente. Avvicinandosi a lui, disse, “Ma davvero?” Allungò una mano, sfiorando appena la guancia di Trevor. Lui fece un salto all’indietro. “Oh, no, signora, ti ho sentita dire come volevi interrogare quel Grifone, e non ci tengo a provare i tuoi metodi*erk!*” fu afferrato per il collo…e si ritrovò a fissare il sorriso zannuto di Nightshade.

Prima della sua definitiva trasformazione, Tilda Johnson aveva studiato i licantropi in modo ossessivo, arrivando a saperne da sola più di molti cosiddetti ‘esperti’. E, fra le altre cose, era arrivata a capire che se il lupo scatenava in qualche modo un irrazionale odio e timore, il lupo mannaro scatenava tali emozioni a un livello moltiplicato.

Decisamente, a giudicare dalla sua puzza, Trevor non ne era immune.

“Puoi dirci la verità, o posso mangiarti,” disse Nightshade. “Che ne dici?”

“Uh…uh…no, cioè…” balbettò il poveretto. La lupa lo spinse via di malagrazia. Trevor cadde a terra, realizzando per la prima volta che forse aveva fatto un errore a mescolarsi a questi stranieri!

Spostando lo sguardo da un mostro all’altro, Trevor disse, “Ci sono parecchie uscite dal Darkmere, il castello è una di esse…ma sono guardate a vista dai Grifoni. Io appartengo ai ‘Clandestini’, un’organizzazione dedita alla fuga da qui. Ho rubato questa uniforme da un Grifone dei Servizi Fantasma, stavo dirigendomi al castello quando siete arrivati voi. Siete gente tosta, e speravo che vi limitaste ad aprire la strada per me.”

Ci fu un generale scambiarsi di occhiate da parte dei Supernaturals. A Trevor piacque ancora meno di quando lo stavano minacciando apertamente.

“Cosa sa fare questa uniforme?” chiese Lilith? “Oltre a renderti invisibile?”

Lui si alzò in piedi, spolverandosi. Il suo lungo mantello sottile e frangiato si muoveva come animato di vita propria. “Oh, fa volare, permette di lanciare fulmini, si estende che è un piacere e cambia densità. La maschera è un filtro antigas e permette di vedere anche nel buio assoluto e attraverso gli oggetti. È o non è una figata?”

Di nuovo quello scambio di occhiate.

“Diciamo che tu vieni con noi,” disse Dreadknight. “Ci dai una mano a completare la nostra missione, e poi ce ne andiamo via da qui tutti insieme, come una bella famiglia felice.”

Trevor sospirò. “Ho come l’impressione di non avere scelta, vero?” Si rimise maschera e cappuccio.

Il gruppo si preparò alla partenza. Moonhunter, dalla moto, indicò con il pollice i corpi di Tagak e Nebulon. “Di loro che ne facciamo?”

Fu Carrion a dare la risposta. Si avvicinò al corpo di Tagak. Si chinò su di lui. Lo toccò.

“Occazzo!” A Trevor venne da vomitare, osservando il corpo dell’uomo felino decomporsi istantaneamente! Di Tagak non rimase che un mucchio di polvere che fu presto disperso dal vento.

Lilith sorrise. “Un buon servo, ma non abbastanza potente… Almeno, ora sappiamo che il Caduceo degli Sterling ha due condivisori in meno.”

“Il..?”

“Niente che ti riguardi, moccioso,” tagliò secco la vampira. “Se sai volare, datti da fare.” Divenne un pipistrello antropomorfo, e spiccò il volo.

Lo skycicle di Moonhunter, Nightshade seduta dietro di lui, seguì a razzo. Poi toccò a Dreadknight e Hobgoblin, quest’ultimo sul suo fiammeggiante aliante-demone. Carrion si involò come se non avesse avuto peso.

Improvvisamente, Trevor non si sentì più sicuro di volerli seguire…ma quando vide quello zombie giallastro voltare la testa verso di lui, deglutì e si concentrò…

…e schizzò come un fulmine! In un attimo, si trovò già ad affiancare lo skycicle.

“Niente male, mezzacalzetta!” disse Hunter. “Hai così fretta di fare tutto da solo?”

“Veramente…è che non so ancora controllarlo bene! Più vado avanti a questa velocità, prima mi arriva un mal di testa maiuscolo.”

“E tu avresti rubato quella roba a un professionista? La fortuna deve proprio averti portato a letto, altro che baciato.”

“Sapessi…” mormorò il giovane.

 

Poche donne avrebbero potuto essere altrettanto belle quanto Armeena, Proconsole del Triumvirato. Il suo abbigliamento era un quadro di luci brillanti incastonate da gioielli d’oro e d’argento, dipinto su un corpo perfetto dalla pelle di un delicato color mogano, liscia, senza una imperfezione.

Era il suo volto a tradire la sua fedeltà, la sua devozione.

I corridoi entro cui Armena si muoveva erano uno spettacolare amalgama di antico e moderno -colonne marmoree dipinte a colori vivaci, disposte ad intervalli regolari ad incorniciare i lastroni di vetro. Tubulari luminescenti al neon correvano lungo il soffitto, attraversando gli archi del colonnato. Il pavimento era coperto da una soffice superficie azzurra bordata di oro.

La donna giunse alla porta alla fine del corridoio. Una porta blindata e sobria, tirata a lucido, come si addiceva ai dirigenti di un’azienda.

La donna spinse la maniglia verso il basso. E anche adesso, come allora, incontrò resistenza.

Armeena scosse la testa, tutt’altro che rassegnata. Anche se lei, come ogni uomo e donna e bambino del Darkmere, era soggetta alla volontà del Triumivrato, non voleva dire che lei dovesse accettare l’improvviso isolamento in cui i suoi superiori si erano rinchiusi.

Solo una ragione eccezionalmente grave poteva spingerli ad un simile comportamento. E lei sapeva per prima che il tempo non era ancora giunto!

Possibile che la sola presenza di quegli stranieri potesse destabilizzare il Triumvirato fino a questo punto? Domanda pericolosa, che non poteva aspettare una risposta!

Lady Armeena lasciò la maniglia. Avrebbe pagato le conseguenze del suo ardire, ma doveva agire, adesso!

 

“Ti senti bene, pelosetta?”

Nightshade si era portata una mano alla tempia. Non si era accorta di avere uggiolato. “Non…non lo so. È come se qualcosa mi stringesse il cuore…” pensò fuggevolmente all’anticamera di un attacco cardiaco, ma il male che sentiva dentro non assomigliava a nulla del genere. Era come una diffusa sensazione di malessere, qualcosa che la angosciava.

Guardò verso il cielo. Oltre il velo azzurro, lo sapeva, le atroci costellazioni dello Zodiaco Nero muovevano gli ultimi passi della loro danza della congiunzione.

Non faremo in tempo. Il pensiero, invece della paura, le trasmise un senso di ineluttabilità. Cosa puoi mai fare, quando vedi una valanga venirti addosso? Corri via urlando? La affronti con coraggio? Più semplicemente, chiudi gli occhi e speri che non sia così terribile come sembra?

Non erano preparati, come gruppo…cioè, non erano neppure un gruppo, erano solo un’accozzaglia messa insieme contro la loro volontà per soddisfare un piano contorto. Il vero miracolo era che fossero riusciti a lavorare ‘insieme’ fino a quel momento. Senza un capo, la strada era solo in salita.

 

L’ultima pagina del rituale si chiuse.

Contemporaneamente, il cerchio luminoso dello Zodiaco Nero si accese di una luce troppo abbagliante a guardarsi.

La mandibola di Thulsa Doom si spalancò in un urlo di trionfo. “SÌ! L’OCULUM INFERNALIS È APERTO!” Le pareti stesse della chiesa tremarono di fronte a quel trionfo ed alle forze che furono appena liberate.

Immagini spettrali delle costellazioni apparvero intorno allo stregone prehyboriano. Il Bambino Primogenito, il Torso, la Donna Prigioniera, l’Amante Appassita, il Principe Sfigurato, la Principessa Iraconda, la Pellegrina, il Grande Bambino e la Madre Crudele, il Martello, lo Sciacallo, il Golem ed il Principe Trafitto. Si contorcevano ed urlavano la loro agonia, trasmettevano ad ogni angolo del cielo rabbia, rancore e follia in ogni loro sfumatura. Un essere mortale sarebbe semplicemente impazzito.

Thulsa Doom era uno di quei pochi eletti che poterono bere a quei lamenti come ad una raffinata musica, traendone forza sempre maggiore…

…per potere vedere l’Occhio del Tempo aperto sotto di lui. Il cuore di Thulsa Doom era l’inferno, ed ora era a casa! “Sì! Occhio della saggezza distillata dal Male Supremo, svelami il modo per giungere alla vittoria finale contro i nemici del mio Signore!”

 

“È finita.” Nightshade calò il capo, rassegnata. “L’Oculum è stato aperto. Lo sento.”

Il gruppo atterrò ai margini di un bosco: non erano neppure giunti a coprire metà dell’isola inglese!

Lilith tornò alla forma umana. Provava una sensazione assurda, che allo stesso tempo la esaltava e la terrorizzava. Un male così forte ed antico da sfuggire ad ogni definizione…

La natura demoniaca di Hobgoblin lo spinse sull’orlo di una risata di gioia, ma Phillip Macendale tenne il proprio corpo sotto controllo: anche se il potere lo esaltava, col cavolo che avrebbe ceduto al mostro che viveva in lui!

Gli altri, con varie sfumature, percepirono gli effetti della congiuntura. L’incantesimo fu spezzato quando Trevor disse, “E ora che facciamo?”

 

Non era decisamente quello che si aspettava!

Un momento fa, Thulsa Doom si trovava sull’orlo della vittoria finale.

Ora era in una stanza dalle pareti coperte di pannelli elettronici, da cima a fondo, un immenso santuario della scienza, sterile, deserto di ogni forma di vita tranne sé stesso.

O quasi.

“Benvenuto, Thulsa Doom.”

A quella voce, lo stregone si voltò. “Chi sei? Dove sono? Parla, o assaggerai l’ira dell’Alto Sacerdote di Set!”

Il suo sguardo si posò su una figura umana inguainata in una ricca armatura nera e blu. La cotta di maglia sopra la pelle era così fitta che non si vedevano le carni. Gli occhi sotto le aperture dell’elmo senza bocca erano due fessure nere.

“Puoi chiamarmi ‘figlio’, oppure ‘danno collaterale’, o il tuo più grande successo, il simbolo della tua vittoria.” La voce dell’essere era qualcosa di spaventoso nella sua totale assenza di emozioni, di vita. “Chiamami Suruun, se preferisci.”

Thulsa Doom aggrottò mentalmente la fronte. “’La Spia’? Cosa significa questa sciarada? Parla!” tese la mano…e non successe niente. “Cosa..?”

Suruun non fece un passo, non mosse un muscolo. “La magia attinge alle energie ambientali, comunemente chiamate ‘Mana’, o ‘Prana’. Qui non ne troverai.”

Lo stregone, in tutta risposta, sfoderò la sua spada. “Credi che un volgare trucco possa fermarmi?”

“Trucco?” per la prima volta, Suruun mosse un braccio. Un cenno vago della mano.

La parete scomparve. Il soffitto scomparve. Scomparve tutto. Restarono soli, immersi nel…nulla. Nel niente assoluto. Thulsa Doom non percepiva letteralmente nulla al di fuori del proprio corpo.

Non era affatto piacevole! Era come essere chiusi in una stanza buia, che ti si stringeva intorno, pronta a soffocarti ma eternamente sul limite del collasso, come se un Dio crudele avesse deciso di prolungare la tortura all’infinito.

Thulsa Doom cadde in ginocchio, stringendosi il cranio con mani tremanti. “Che cosa è tutto questo? Set, onnipotente Signore, aiuta il tuo servo fedele. Ti prego…”

“Set è morto.”

Fu sufficiente a scuoterlo. “Menti! Set è eterno!”

Suruun rimase dov’era. La sua voce continuava ad essere assente di ogni trionfo od altra emozione. “Set è morto. Il Popolo è estinto. I seguaci di Set. L’umanità. I loro figli tutti ed i loro discendenti. Sono tutti scomparsi da un lasso di tempo così vasto che la tua mente non può neppure immaginarlo.

“Le loro ambizioni, i loro desideri, l’amore, l’odio. Sono scomparsi insieme al resto del Omniverso.”

Lo stregone non era un fisico, non era uno scienziato, non poteva capire quello che gli veniva detto. Sapeva solo che, per quanto provasse ad espandere la sua mente, essa scompariva in un vuoto incolmabile, nello spazio zero che era diventato il tutto.

Sapeva che questa entità diceva la verità. “Perché ti manifesti a me? Io non ti ho evocato…”

“L’Oculum Infernalis apre la porta sul tempo, Thulsa Doom. Lo sapevi.”

“…”

“Il tempo ha un inizio, e per quanto a lungo possa scorrere, giunge alla sua fine.

“Sei alla fine del tempo, Thulsa Doom. Tutto quello che è stato giunge a questo momento, alla tabula rasa definitiva. Assenza totale di materia in ogni sua forma. Il nulla che prepara alla prossima rinascita, al di là di ogni controllo, di ogni speranza e disperazione.”

Thulsa Doom era morto, era ritornato ed era stato sconfitto di nuovo, non una ma mille volte, e da ogni sconfitta aveva maturato nuova esperienza. Tutto per la maggiore gloria del suo Signore dalle sette teste.

Tutto per nulla.

Che senso aveva la vittoria, quando niente sarebbe rimasto?

Thulsa Doom urlò la sua frustrazione al nulla, e non lo udì nessuno.

 

Il cerchio zodiacale si dissolse. La congiunzione era cessata.

Il punto occupato dallo stregone esplose in un lampo di forze arcane. Il suo urlo raggiunse le pareti ed il soffitto, dilaniò metà dell’edificio.

Evilar fu sbalzata contro il portone, con una tale forza che le pesanti ante furono quasi scardinate. Le sue ombre furono dissolte dalla luce.

In mezzo alla polvere ed alle schegge di legno, in ginocchio sui frammenti di un pulpito carbonizzato, Thulsa Doom artigliava freneticamente il pavimento.

 

Evilar si rimise in piedi. “Signore..?”

Lo stregone si alzò in piedi. “Sono stato ingannato! Sono stato raggirato! Mi hanno fatto perdere tempo prezioso con un vile tranello! Per ora devo ritirarmi, la mia missione è finita…ma chiunque sia stato, pagherà nei modi più elaborati che io possa immaginare!”

 

“È finita.”

“Come sarebbe a dire?” fece Moonhunter. “Tutto qui? Fino a poco fa, sembravi pronta per il tuo funerale!”

Nightshade scosse la testa. “La congiunzione è finita. Non so cosa possa essere successo…ma non provo più quel senso di minaccia…”

Trevor si fregò le mani. “Quindi tutti a casa, giusto?”

“Sbagliato, signori!”

“Lo sapevo che era troppo bello,” si lamentò Dreadknight.

Ancora una volta, il gruppo si trovava circondato da un fitto anello di Grifoni, cavalleria aerea e fanteria.

“Sono il Centurione Logos, stranieri!” disse l’uomo a cavallo del più grande dei draghi. “Per ordine del Triumvirato, dovete morire!”



[i] Ultimo ep.