PROLOGO: Isola di Failaka, Kuwait, Golfo Persico
Il vento giunse di soppiatto.
Una fresca brezza dal mare, per lambire e raffreddare un po’ il rovente deserto
che copriva l’isola brulla e deserta.
Poi il vento si fece più
forte. E ad esso si unì una nuova corrente, questa volta proveniente dalla
direzione opposta.
Poi le prime nuvole iniziarono
a radunarsi nel cielo. Nuvole pesanti e grigie, plumbee.
Il vento, anzi i venti,
crebbero ancora di intensità. Le nuvole si ammassarono sempre più in fretta,
sempre più fitte.
Il cielo ne fu coperto. Non un
raggio di Sole riusciva a trapassare quel velo. A mezzogiorno, sull’isola era
scesa la notte.
Vortici di sabbia si levarono
dalla superficie. Vortici che divennero titaniche colonne, che sembrarono
volere unire terra e cielo in un parossismo elementale contornato da sciami di
fulmini.
Finalmente, la terra rispose.
La sabbia si sollevò sotto la spinta di un corpo colossale. La superficie
piatta divenne una collina.
La sabbia scese, rivelando
colonne finemente decorate,
massicce mura di granito,
statue di lancieri dalla
solenne testa di sciacallo
edifici dai tetti d’oro e
scalinate dalla superficie d’oro…
“Sorgi dal tuo lungo sonno,
Grande Tempio di Anubi.” La voce parlava con un tono adorante, ma allo stesso
tempo freddo, a malapena udibile nella furia della tempesta.
L’unico spettatore di quel
prodigio era un uomo: carnagione olivastra, atletica, vestiva per quello che
era, un Sacerdote del Dio-Sciacallo egizio, con un gonnellino, calzari e
bracciali d’oro, bastoni rituali tenuti incrociati al petto, e una splendida maschera
d’oro che riproduceva le fattezze di Anubi.
“Sorgi, tempio divino, per
testimoniare il ritorno alla gloria del giudice dei morti.”
Un fulmine illuminò
l’oscurità. Per un istante, la durata di un lampo, ci fu un’altra figura al
posto del sacerdote. Ci fu una creatura muscolosa, coperta di una pelliccia
nerissima, dall’affilato muso animale e gli occhi, delicatamente contornati,
neri e dalle pupille rosse.
“Sorgi per testimoniare che i
miei nemici da ora in poi sappiano che Anubi è pronto a deporre il loro cuore
sulla sua bilancia!” La creatura ululò ed il suo verso si confuse con la
tempesta.
I fulmini illuminarono la
cittadella risorta.
MARVELIT presenta
Episodio 18 - Congiuntura Diabolica (III Parte)
Nei pressi del
Salisgraveshire, Scozia. Il Darkmere
Il corpo era ormai decomposto
quasi completamente, ridotto a un velo di pelle dorata tesa sulle ossa. I folti
capelli argentati erano sì e no qualche ciuffo sul cranio. Il costume era uno
straccio lacero.
Nebulon, l’Uomo Celestiale,
era morto…di nuovo.
Accanto a lui, sulla spiaggia,
giaceva un altro eroe: Tagak, il Principe Leopardo. Giaceva in uno stato
comatoso, immobile come morto, completamente vulnerabile.
Quanto a coloro che erano
costretti a testimoniare il definitivo sputtanamento della loro missione,
Ø
Moonhunter,
l’ex cacciatore di licantropi, era il solo che si potesse definire ‘eroe’.
Ø
Nightshade,
la nera licantropa, non sapeva esattamente come definirsi. Sapeva solo che da
quando l’eroe licantropo Pintea l’aveva scelta per portare la sua armatura, la
sua visione del mondo era cambiata.
Ø
Carrion,
portatore dell’omonimo virus, osservava i corpi senza battere ciglio.
Ø
Hobgoblin,
l’ex mercenario, ora un mezzo demone, era impegnato ad ‘interrogare’ uno dei
responsabili di quella crisi, un soldato del Corpo dei Grifoni.
Ø
Lilith, la figlia di Dracula, aspettava in disparte, pronta a fare la sua parte.
Ø
Dreadknight,
il sinistro cavaliere latveriano, era di pattuglia.
“Vediamo di capirci, bello,”
stava dicendo Hobgoblin con una voce che aveva perso ogni intonazione umana.
“Tu continua pure a tacere. Non spero di meglio.” Appoggiò la sua mano al
torace del Grifone. L’uomo urlò orribilmente, mentre il metallo della sua
armatura si liquefaceva come burro…per diventare una mostruosa bocca ghignante.
“Che idiozia!” Lilith scosse
la testa. “Se lo lasciavi a me, avrei potuto farne uno schiavo obbediente,
disposto a parlare senza colpo ferire. Così, invece, non posso neppure morderlo
senza beccarmi le infezioni che trasmetti. Idiota!”
“Ti consiglio di non
ripeterti, strega!” sibilò la creatura, le mani già accese di fuoco infernale.
“O vuoi perdere il tuo bel faccino per sempre?”
Una lama di luce si frappose
fra di loro, tagliando nel suolo come nella creta!
“Abbiamo anche una missione da compiere, se ve ne foste dimenticati!”
ringhiò Nightshade. “Quando sarà finita, potrete uccidervi a piacimento. Dac?”
“Non che portarla a termine ci
possa servire,” disse Carrion, guardando verso Tagak. “Senza di lui, siamo intrappolati
in questo Darkmere.”
La lupa gli appoggiò la punta
della sua alabarda alla gola. “Magari restare qui non sarà così male, a conti
fatti. Prima, però, vorrei salvarmi la pelliccia, zombie. Chiaro? Là fuori c’è
un figlio di serpe che mi vuole morta[i], e se ci
riuscisse, prima tu mi indicherai la strada per l’Inferno!”
Carrion non batté ciglio. “E
allora cosa suggerisci di fare?”
Lei digrignò i denti, mentre
abbassava l’arma. La verità era che non lo sapeva. Era quel boy-scout cosmico
di Nebulon a sapere come comportarsi, e Tagak era il suo degno vice. Loro
altri, senza una guida decente, erano degli sbandati all’anarchia...
Poi le venne in mente! “Idiota
che sono,” mormorò.
“Concordo in pieno,” disse
Hobgoblin.
La licantropa chiuse gli
occhi. Non sapeva esattamente come fare, doveva mettersi a pregare?
Si concentrò. Provò a
focalizzare nella sua mente l’immagine che aveva visto poche ore prima.
“Pintea, accidenti a te, fatti vedere. Dimmi dov’è quel figlio di puttana di Thulsa Doom.”
Niente. Scosse la testa -che
cosa si aspettava, del resto, di trovarsi di fronte uno spettro luminescente in
saio..? “Ki-yy!” Aveva aperto gli occhi, ed eccolo lì, Pintea dalla pelliccia
grigia e nera, che indossava la versione eterea dell’armatura di lei.
E che puntava verso est con la
sua alabarda, da cui partiva un raggio di luce.
“Bella idea, baby,” disse Moonhunter.
“Lo vedi?”
“Sì. In fondo, è solo lo
spettro di un luppolo, niente che non abbia già visto.” Zachary Moonhunter
attivò il microfono all’interno della maschera. “’Knight, siamo pronti a
muoverci.”
Il cavaliere, seduto sul suo
fedele Hellhorse, rispose dal
microfono nel suo elmo a forma di teschio. “D’accordo. Fate strada. Qui intorno
non sembrano esserci altri ‘comitati di benvenuto’ in agguato.”
Hobgoblin guardò verso il
‘suo’ prigioniero. “Allora questo fesso non ci serve più, giusto?” Non attese
risposta. Puntò la mano e lo avvolse in una vampata di fuoco infernale. In
pochi secondi, dell’uomo non restarono che poche ossa annerite avvolte da un
guscio metallico semifuso.
Carrion, come al solito, non
disse nulla. Si limitò a sparire in una nauseabonda vampata luminosa allo
zolfo.
Apparve un istante dopo dietro
ad una roccia. Una scelta singolare, visto che non c’era niente o nessuno, lì.
Si chinò come a volere afferrare
qualcosa…e, effettivamente, la sua mano afferrò qualcosa. Qualcosa che apparve
un attimo dopo: per la precisione, una snella figura umana in costume, avvolta
da un enorme mantello e cappuccio scarlatto. Ai piedi portava un paio di
stivaloni. “Oddio non mi uccidete, per favore! Non volevo spiarvi, lo giuro!”
Carrion, tenendolo per il
collo, lo sollevò senza sforzo. Lo fissò con i suoi occhi bianchi.
“Considerando che è quello che hai fatto da quando siamo arrivati in questo
piano dimensionale, perché dovrei crederti?”
Il
giovane, se la voce che veniva dalla maschera incappucciata poteva essere presa
come indicatore, disse, “Perché non stavo spiandovi per conto del Triumvirato,
ma per conto mio. Voglio fuggire da qui!”
Da qualche parte nelle foreste
Bavaresi, si trovava una chiesa sconsacrata, o meglio la controparte nel
Darkmere di quello che fu un luogo di culto del Dio-Serpente Set.
All’interno della Chiesa,
sospeso ad un metro di altezza dal pulpito, seduto a gambe incrociate, stava
l’antica nemesi del Popolo, il malvagio Thulsa Doom.
L’uomo, la cui testa era un
nudo teschio dalle orbite fiammeggianti, era finalmente prossimo a realizzare
il suo proposito! Il libro che si stava sfogliando da solo davanti a lui, il Tomo di Galadeno, stava per aprire i
suoi occhi all’Oculum Infernalis, il
Cuore del Tempo.
La conoscenza del rito, unita
alla rara congiunzione dei corpi che formavano lo Zodiaco Nero, gli avrebbe dato la chiave per sconfiggere il Popolo
una volta per tutte! A quel punto, il dominio di Set sul mondo prima e sul
Multiverso poi sarebbe diventato inarrestabile!
A distanza di sicurezza dal
suo padrone, stava una donna. La sua delicata figura era inguainata da una
splendida armatura bianca come la porcellana. L’elmo era ridotto al copricapo. Il
volto scoperto era una solida ombra.
Il Generale Evilar, circondata da una schiera dei suoi
guerrieri-ombra, aspettava lì, nel caso si fosse reso necessario combattere
nella chiesa…
Ma
era improbabile che si giungesse a tanto: con il Triumvirato, la massima autorità del Darkmere, sotto l’influenza
delle sue ombre, questi ‘Supernaturals’ non avrebbero posto problemi!
“E noi dovremmo fare dei favori ad un moccioso come te?” Bram Velsing, Dreadknight, aveva un
briciolo di senso dell’umorismo. Aveva deciso che avrebbe ascoltato questo
ragazzino, quindi si farebbe fatto una bella risata, e poi lo avrebbe ucciso.
Il ragazzo si era rivelato
appena un ventenne, una volta che maschera e cappuccio erano stati sollevati.
Cranio perfettamente rasato, e coperto da un elaborato tatuaggio oro e blu che
andava dal collo alla fronte come un elmo dipinto. “Tanto per cominciare,
faccia di teschio, ho un nome, ed è Trevor
Corson.
“In secondo luogo, io sono il
solo a conoscere una via d’uscita dal Darkmere.” Questo attirò la loro attenzione. Trevor incrociò le braccia al
petto, ringalluzzito.
Fu a quel punto, che Lilith lo
fisso intensamente. Avvicinandosi a lui, disse, “Ma davvero?” Allungò una mano,
sfiorando appena la guancia di Trevor. Lui fece un salto all’indietro. “Oh, no,
signora, ti ho sentita dire come volevi interrogare quel Grifone, e non ci
tengo a provare i tuoi metodi*erk!*” fu afferrato per il collo…e si ritrovò a
fissare il sorriso zannuto di Nightshade.
Prima della sua definitiva
trasformazione, Tilda Johnson aveva studiato i licantropi in modo ossessivo,
arrivando a saperne da sola più di molti cosiddetti ‘esperti’. E, fra le altre
cose, era arrivata a capire che se il lupo scatenava in qualche modo un irrazionale
odio e timore, il lupo mannaro scatenava tali emozioni a un livello moltiplicato.
Decisamente, a giudicare dalla
sua puzza, Trevor non ne era immune.
“Puoi dirci la verità, o posso
mangiarti,” disse Nightshade. “Che ne dici?”
“Uh…uh…no, cioè…” balbettò il
poveretto. La lupa lo spinse via di malagrazia. Trevor cadde a terra,
realizzando per la prima volta che forse aveva fatto un errore a mescolarsi a
questi stranieri!
Spostando lo sguardo da un
mostro all’altro, Trevor disse, “Ci sono parecchie uscite dal Darkmere, il
castello è una di esse…ma sono guardate a vista dai Grifoni. Io appartengo ai
‘Clandestini’, un’organizzazione dedita alla fuga da qui. Ho rubato questa
uniforme da un Grifone dei Servizi Fantasma, stavo dirigendomi al castello
quando siete arrivati voi. Siete gente tosta, e speravo che vi limitaste ad
aprire la strada per me.”
Ci fu un generale scambiarsi
di occhiate da parte dei Supernaturals. A Trevor piacque ancora meno di quando
lo stavano minacciando apertamente.
“Cosa sa fare questa
uniforme?” chiese Lilith? “Oltre a renderti invisibile?”
Lui si alzò in piedi,
spolverandosi. Il suo lungo mantello sottile e frangiato si muoveva come
animato di vita propria. “Oh, fa volare, permette di lanciare fulmini, si estende
che è un piacere e cambia densità. La maschera è un filtro antigas e permette
di vedere anche nel buio assoluto e attraverso gli oggetti. È o non è una
figata?”
Di nuovo quello scambio di
occhiate.
“Diciamo che tu vieni con
noi,” disse Dreadknight. “Ci dai una mano a completare la nostra missione, e
poi ce ne andiamo via da qui tutti insieme, come una bella famiglia felice.”
Trevor sospirò. “Ho come
l’impressione di non avere scelta, vero?” Si rimise maschera e cappuccio.
Il gruppo si preparò alla
partenza. Moonhunter, dalla moto, indicò con il pollice i corpi di Tagak e
Nebulon. “Di loro che ne facciamo?”
Fu Carrion a dare la risposta.
Si avvicinò al corpo di Tagak. Si chinò su di lui. Lo toccò.
“Occazzo!” A Trevor venne da
vomitare, osservando il corpo dell’uomo felino decomporsi istantaneamente! Di
Tagak non rimase che un mucchio di polvere che fu presto disperso dal vento.
Lilith sorrise. “Un buon
servo, ma non abbastanza potente… Almeno, ora sappiamo che il Caduceo degli
Sterling ha due condivisori in meno.”
“Il..?”
“Niente che ti riguardi,
moccioso,” tagliò secco la vampira. “Se sai volare, datti da fare.” Divenne un
pipistrello antropomorfo, e spiccò il volo.
Lo skycicle di Moonhunter,
Nightshade seduta dietro di lui, seguì a razzo. Poi toccò a Dreadknight e
Hobgoblin, quest’ultimo sul suo fiammeggiante aliante-demone. Carrion si involò
come se non avesse avuto peso.
Improvvisamente, Trevor non si
sentì più sicuro di volerli seguire…ma quando vide quello zombie giallastro
voltare la testa verso di lui, deglutì e si concentrò…
…e schizzò come un fulmine! In
un attimo, si trovò già ad affiancare lo skycicle.
“Niente male, mezzacalzetta!”
disse Hunter. “Hai così fretta di fare tutto da solo?”
“Veramente…è che non so ancora
controllarlo bene! Più vado avanti a questa velocità, prima mi arriva un mal di
testa maiuscolo.”
“E tu avresti rubato quella
roba a un professionista? La fortuna deve proprio averti portato a letto, altro
che baciato.”
“Sapessi…”
mormorò il giovane.
Poche donne avrebbero potuto
essere altrettanto belle quanto Armeena, Proconsole del Triumvirato. Il
suo abbigliamento era un quadro di luci brillanti incastonate da gioielli d’oro
e d’argento, dipinto su un corpo perfetto dalla pelle di un delicato color
mogano, liscia, senza una imperfezione.
Era il suo volto a tradire la
sua fedeltà, la sua devozione.
I corridoi entro cui Armena si
muoveva erano uno spettacolare amalgama di antico e moderno -colonne marmoree dipinte
a colori vivaci, disposte ad intervalli regolari ad incorniciare i lastroni di
vetro. Tubulari luminescenti al neon correvano lungo il soffitto, attraversando
gli archi del colonnato. Il pavimento era coperto da una soffice superficie
azzurra bordata di oro.
La donna giunse alla porta
alla fine del corridoio. Una porta blindata e sobria, tirata a lucido, come si
addiceva ai dirigenti di un’azienda.
La donna spinse la maniglia
verso il basso. E anche adesso, come allora, incontrò resistenza.
Armeena scosse la testa,
tutt’altro che rassegnata. Anche se lei, come ogni uomo e donna e bambino del
Darkmere, era soggetta alla volontà del Triumivrato, non voleva dire che lei dovesse accettare l’improvviso
isolamento in cui i suoi superiori si erano rinchiusi.
Solo una ragione
eccezionalmente grave poteva spingerli ad un simile comportamento. E lei sapeva
per prima che il tempo non era ancora giunto!
Possibile che la sola presenza
di quegli stranieri potesse destabilizzare il Triumvirato fino a questo punto?
Domanda pericolosa, che non poteva aspettare una risposta!
Lady
Armeena lasciò la maniglia. Avrebbe pagato le conseguenze del suo ardire, ma
doveva agire, adesso!
“Ti senti bene, pelosetta?”
Nightshade si era portata una
mano alla tempia. Non si era accorta di avere uggiolato. “Non…non lo so. È come
se qualcosa mi stringesse il cuore…” pensò fuggevolmente all’anticamera di un
attacco cardiaco, ma il male che sentiva dentro non assomigliava a nulla del
genere. Era come una diffusa sensazione di malessere, qualcosa che la angosciava.
Guardò verso il cielo. Oltre
il velo azzurro, lo sapeva, le atroci costellazioni dello Zodiaco Nero
muovevano gli ultimi passi della loro danza della congiunzione.
Non faremo in tempo. Il
pensiero, invece della paura, le trasmise un senso di ineluttabilità. Cosa puoi
mai fare, quando vedi una valanga venirti addosso? Corri via urlando? La
affronti con coraggio? Più semplicemente, chiudi gli occhi e speri che non sia
così terribile come sembra?
Non
erano preparati, come gruppo…cioè, non erano
neppure un gruppo, erano solo un’accozzaglia messa insieme contro la loro
volontà per soddisfare un piano contorto. Il vero miracolo era che fossero
riusciti a lavorare ‘insieme’ fino a quel momento. Senza un capo, la strada era
solo in salita.
L’ultima pagina del rituale si
chiuse.
Contemporaneamente, il cerchio
luminoso dello Zodiaco Nero si accese di una luce troppo abbagliante a
guardarsi.
La mandibola di Thulsa Doom si
spalancò in un urlo di trionfo. “SÌ! L’OCULUM INFERNALIS È APERTO!” Le pareti
stesse della chiesa tremarono di fronte a quel trionfo ed alle forze che furono
appena liberate.
Immagini spettrali delle
costellazioni apparvero intorno allo stregone prehyboriano. Il Bambino
Primogenito, il Torso, la Donna Prigioniera, l’Amante Appassita, il Principe
Sfigurato, la Principessa Iraconda, la Pellegrina, il Grande Bambino e la Madre
Crudele, il Martello, lo Sciacallo, il Golem ed il Principe Trafitto. Si contorcevano
ed urlavano la loro agonia, trasmettevano ad ogni angolo del cielo rabbia,
rancore e follia in ogni loro sfumatura. Un essere mortale sarebbe
semplicemente impazzito.
Thulsa Doom era uno di quei
pochi eletti che poterono bere a quei lamenti come ad una raffinata musica,
traendone forza sempre maggiore…
…per
potere vedere l’Occhio del Tempo aperto sotto di lui. Il cuore di Thulsa Doom
era l’inferno, ed ora era a casa! “Sì! Occhio della saggezza distillata dal
Male Supremo, svelami il modo per giungere alla vittoria finale contro i nemici
del mio Signore!”
“È finita.” Nightshade calò il
capo, rassegnata. “L’Oculum è stato aperto. Lo sento.”
Il gruppo atterrò ai margini
di un bosco: non erano neppure giunti a coprire metà dell’isola inglese!
Lilith tornò alla forma umana.
Provava una sensazione assurda, che allo stesso tempo la esaltava e la
terrorizzava. Un male così forte ed antico da sfuggire ad ogni definizione…
La natura demoniaca di
Hobgoblin lo spinse sull’orlo di una risata di gioia, ma Phillip Macendale
tenne il proprio corpo sotto controllo: anche se il potere lo esaltava, col
cavolo che avrebbe ceduto al mostro che viveva in lui!
Gli
altri, con varie sfumature, percepirono gli effetti della congiuntura.
L’incantesimo fu spezzato quando Trevor disse, “E ora che facciamo?”
Non era decisamente quello che
si aspettava!
Un momento fa, Thulsa Doom si
trovava sull’orlo della vittoria finale.
Ora era in una stanza dalle
pareti coperte di pannelli elettronici, da cima a fondo, un immenso santuario
della scienza, sterile, deserto di ogni forma di vita tranne sé stesso.
O quasi.
“Benvenuto, Thulsa Doom.”
A quella voce, lo stregone si
voltò. “Chi sei? Dove sono? Parla, o assaggerai l’ira dell’Alto Sacerdote di
Set!”
Il suo sguardo si posò su una
figura umana inguainata in una ricca armatura nera e blu. La cotta di maglia
sopra la pelle era così fitta che non si vedevano le carni. Gli occhi sotto le
aperture dell’elmo senza bocca erano due fessure nere.
“Puoi chiamarmi ‘figlio’,
oppure ‘danno collaterale’, o il tuo più grande successo, il simbolo della tua
vittoria.” La voce dell’essere era qualcosa di spaventoso nella sua totale
assenza di emozioni, di vita. “Chiamami Suruun, se preferisci.”
Thulsa Doom aggrottò
mentalmente la fronte. “’La Spia’? Cosa significa questa sciarada? Parla!” tese
la mano…e non successe niente. “Cosa..?”
Suruun non fece un passo, non
mosse un muscolo. “La magia attinge alle energie ambientali, comunemente
chiamate ‘Mana’, o ‘Prana’. Qui non ne troverai.”
Lo stregone, in tutta
risposta, sfoderò la sua spada. “Credi che un volgare trucco possa fermarmi?”
“Trucco?” per la prima volta,
Suruun mosse un braccio. Un cenno vago della mano.
La parete scomparve. Il
soffitto scomparve. Scomparve tutto. Restarono soli, immersi nel…nulla. Nel
niente assoluto. Thulsa Doom non percepiva letteralmente nulla al di fuori del
proprio corpo.
Non era affatto piacevole! Era
come essere chiusi in una stanza buia, che ti si stringeva intorno, pronta a
soffocarti ma eternamente sul limite del collasso, come se un Dio crudele
avesse deciso di prolungare la tortura all’infinito.
Thulsa Doom cadde in
ginocchio, stringendosi il cranio con mani tremanti. “Che cosa è tutto questo?
Set, onnipotente Signore, aiuta il tuo servo fedele. Ti prego…”
“Set è morto.”
Fu sufficiente a scuoterlo. “Menti! Set è eterno!”
Suruun rimase dov’era. La sua
voce continuava ad essere assente di ogni trionfo od altra emozione. “Set è
morto. Il Popolo è estinto. I seguaci di Set. L’umanità. I loro figli tutti ed
i loro discendenti. Sono tutti scomparsi da un lasso di tempo così vasto che la
tua mente non può neppure immaginarlo.
“Le loro ambizioni, i loro
desideri, l’amore, l’odio. Sono scomparsi insieme al resto del Omniverso.”
Lo stregone non era un fisico,
non era uno scienziato, non poteva capire quello che gli veniva detto. Sapeva
solo che, per quanto provasse ad espandere la sua mente, essa scompariva in un
vuoto incolmabile, nello spazio zero che era diventato il tutto.
Sapeva che questa entità
diceva la verità. “Perché ti manifesti a me? Io non ti ho evocato…”
“L’Oculum Infernalis apre la
porta sul tempo, Thulsa Doom. Lo sapevi.”
“…”
“Il tempo ha un inizio, e per
quanto a lungo possa scorrere, giunge alla sua fine.
“Sei alla fine del tempo,
Thulsa Doom. Tutto quello che è stato giunge a questo momento, alla tabula rasa
definitiva. Assenza totale di materia in ogni sua forma. Il nulla che prepara
alla prossima rinascita, al di là di ogni controllo, di ogni speranza e disperazione.”
Thulsa Doom era morto, era
ritornato ed era stato sconfitto di nuovo, non una ma mille volte, e da ogni
sconfitta aveva maturato nuova esperienza. Tutto per la maggiore gloria del suo
Signore dalle sette teste.
Tutto per nulla.
Che senso aveva la vittoria,
quando niente sarebbe rimasto?
Thulsa
Doom urlò la sua frustrazione al nulla, e non lo udì nessuno.
Il cerchio zodiacale si
dissolse. La congiunzione era cessata.
Il punto occupato dallo
stregone esplose in un lampo di forze arcane. Il suo urlo raggiunse le pareti
ed il soffitto, dilaniò metà dell’edificio.
Evilar fu sbalzata contro il
portone, con una tale forza che le pesanti ante furono quasi scardinate. Le sue
ombre furono dissolte dalla luce.
In mezzo alla polvere ed alle
schegge di legno, in ginocchio sui frammenti di un pulpito carbonizzato, Thulsa
Doom artigliava freneticamente il pavimento.
Evilar si rimise in piedi.
“Signore..?”
Lo
stregone si alzò in piedi. “Sono stato ingannato! Sono stato raggirato! Mi hanno fatto perdere tempo
prezioso con un vile tranello! Per ora devo ritirarmi, la mia missione è
finita…ma chiunque sia stato, pagherà nei modi più elaborati che io possa
immaginare!”
“È finita.”
“Come sarebbe a dire?” fece
Moonhunter. “Tutto qui? Fino a poco fa, sembravi pronta per il tuo funerale!”
Nightshade scosse la testa.
“La congiunzione è finita. Non so cosa possa essere successo…ma non provo più
quel senso di minaccia…”
Trevor si fregò le mani.
“Quindi tutti a casa, giusto?”
“Sbagliato, signori!”
“Lo sapevo che era troppo
bello,” si lamentò Dreadknight.
Ancora una volta, il gruppo si
trovava circondato da un fitto anello di Grifoni, cavalleria aerea e fanteria.
“Sono il Centurione Logos,
stranieri!” disse l’uomo a cavallo del più grande dei draghi. “Per ordine del
Triumvirato, dovete morire!”